Le leggi delle dodici tavole - Livio
Cum promptum hoc ius velut ex oraculo incorruptum pariter ab iis summi infimique ferrent, tum legibus condendis opera dabatur; ingentique...
Accogliendo tutti i cittadini - dal più autorevole al meno in vista e senza alcuna parzialità -questa giustizia tempestiva e incontaminata come se provenisse da un oracolo, i decemviri erano nel contempo alle prese con la rifondazione di un nuovo codice.
Fra la grande attesa della gente, dopo aver esposto dieci tavole, convocarono il popolo in assemblea. E, augurandosi che ciò fosse buono e fausto per la repubblica, per loro e per i loro figli, ordinarono a tutti di andare a consultare di persona le leggi proposte. Per quanto era stato possibile alle capacità intellettuali di dieci uomini, dissero di aver messo sullo stesso piano i diritti di tutti, dai cittadini più altolocati a quelli meno in vista.
Certo le menti e le proposte di molti avrebbero sortito esiti più efficaci. Che si considerasse dunque ogni singolo punto, se ne discutesse e alla fine si venisse a esporre di fronte a tutti gli eccessi e le inadeguatezze eventualmente riscontrati nei singoli articoli. Il popolo romano doveva avere delle leggi che sembrassero non solo essere state approvate, ma addirittura proposte dal consenso unanime della comunità. Quando sembrò che le leggi avessero subito sufficienti emendamenti alla luce delle opinioni espresse dalla gente sulle singole sezioni, i comizi centuriati approvarono e adottarono definitivamente le Leggi delle X Tavole, che ancor oggi, in questo immenso guazzabuglio di leggi accatastate caoticamente l'una sull'altra, restano la fonte di tutto il diritto pubblico e privato.
In séguito cominciò a circolare la voce che mancassero ancora due tavole, aggiunte le quali il corpo del diritto romano si sarebbe potuto definire realizzato.
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