Apoftegmi di uomini illustri Greci e Romani 237c, 237d, 237e

Εἴ τις φωραθείη ἁμαρτάνων, ἔδει τοῦτον βωμόν τινα τῶν ἐν τῇ πόλει κύκλῳ περιιέναι, ψόγον ᾄδοντα πεποιημένον εἰς ἑαυτόν· ὅπερ ἦν οὐδὲν ἕτερον ἢ ἐπιπλήττειν αὐτὸν αὑτῷ....

Se qualcuno fosse stato colto in errore, doveva girare intorno ad un altare della città, intonando un canto (di rimprovero)

creato contro se stesso: cioè (non doveva fare) niente altro che punire sé stesso  da solo. E i giovani non solo rispettavano i propri padri ed erano loro sottomessi, ma si curavano di tutti i più anziani anziani, sia cedendo loro il passo, sia alzandosi dal posto, sia tacendo in loro presenza. Anche per questo, non come nelle altre città, ciascuno comandava sui suoi figli e su quelli del vicino, sui servi e sui beni propri e su quelli del vicino, allo scopo di vivere in comune il più possibile e di preoccuparsene come se fossero sua proprietà.

Un fanciullo punito da qualcuno se  riferiva al padre di essere stato punito da qualcuno, era una vergogna per il padre che ascoltava se non vi aggiungeva altre percosse: infatti si fidavano fra loro del fatto che, in base all'educazione ricevuta, non avessero ordinato nulla di vergognoso ai figli.

Invece i giovani rubano anche del cibo quanto possono (farlo), sapendo imporsi con  buona disposizione naturale su chi dorme o custodisce poco il suo; però se sono colti sul fatto sono puniti con frustate e con la fame.

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