L'indisciplina nelle scuole di Cartagine (VERSIONE latino Sant'Agostino)

L'indisciplina nelle scuole di Cartagine
VERSIONE DI LATINO DI Aurelio Agostino
Traduzione dal libro Millennium p. 99 T. 228
(ovvero Sant'agostino)

Non ideo Romam pergere volui, quod maiores quaestus maiorque mihi dignitas ab amicis, qui hoc suadebant, promittebatur – quamquam et ista ducebant animum tunc meum – sed illa erat causa maxima et paene sola, quod audiebam quietius ibi studere adulescentes et ordinatiore disciplinae cohercitione sedari, ne in eius scholam, quo magistro non utuntur, passim et proterve inruant, nec eos admitti omnino, nisi ille permiserit. Contra apud Carthaginem foeda est et intemperans licentia scholasticorum: inrumpunt impudenter et prope furiosa fronte perturbant ordinem, quem quisque discipulis ad proficiendum instituerit. Multa iniuriosa faciunt mira hebetudine et punienda legibus, nisi consuetudo patrona sit, hoc miseriores eos ostendens, quo iam quasi liceat faciunt, quod per tuam aeternam legem numquam licebit, et impune se facere arbitrantur, cum ipsa faciendi caecitate puniantur et incomparabiliter patiantur peiora, quam faciunt.
Non volevo andare a Roma per le prospettive di maggiori guadagni e maggior prestigio con cui gli amici volevano allettarmi - benché anche queste cose allora avessero peso sulle mie decisioni. Ma la ragione prima e forse unica era la fama che gli studenti di là avevano d'essere più tranquilli, e disciplinati da un ordinamento più rigoroso: e non avevano l'abitudine di irrompere alla spicciolata e alla rinfusa in una scuola se non erano allievi di quel maestro, anzi non vi erano affatto ammessi senza il suo permesso.

A Cartagine invece l'indisciplina degli studenti è vergognosa e sfrenata: hanno l'impudenza di cacciarsi dove vogliono, sono come furie che turbano l'ordine istituito per il profitto degli allievi. Commettono ogni sorta di insolenze di una scempiaggine incredibile, che le leggi dovrebbero punire, se l'usanza non li proteggesse. E si rivelano tanto più miserabili, in quanto agiscono come se ciò che fanno fosse lecito, mentre per la tua legge non lo sarà mai; e credono di passare impuniti quando è la stessa cecità del loro agire la pena, e soffrono cose incomparabilmente peggiori di quelle che fanno. E io che da studente m'ero sempre rifiutato di indulgere a quegli usi, adesso da professore ero costretto a sopportarli da parte altrui: per questo aspiravo ad andarmene dove questo, stando a chi ne era informato, non sarebbe accaduto.

Ma eri tu, speranza e parte mia sulla terra dei vivi, che mi spingevi per la mia salvezza a cambiare il mio luogo in terra: e a Cartagine mi pungolavi a strapparmi di lì, mentre a Roma mi allettavi a forza di lusinghe: e tutto servendoti di uomini attaccati a questo vivere già morto, che qui imperversavano nella loro demenza, là prodigavano vacue promesse, e per correggere i miei passi sfruttavi segretamente la perversità: la mia e la loro. Perché se quelli che turbavano la mia pace contemplativa erano ciechi come cani rabbiosi e quelli che mi invitavano a un'altra vita assaporavano il gusto della terra, io a mia volta odiavo un'infelicità reale per agognare a una felicità fasulla.

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