De Beneficiis libro III capitoli 20 e 21 - Versione di latino di Seneca
De Beneficiis libro III capitoli 20 e 21 Versione di latino di Seneca
Traduzione Se qualcuno pensa che la servitù penetri in tutto l’uomo, sbaglia. La sua parte migliore rimane immune:
i corpi sono soggetti ed assegnati ai padroni: invece è autonoma la sua anima ed essa è talmente libera ed indipendente che non può essere impedita neppure da questo carcere in cui è chiusa, dal servirsi del suo impeto e dal perseguire grandi idee, e di spaziare nell’infinito come compagna delle realtà celesti. E’ quindi il corpo che la fortuna ha assegnato al padrone; questo compra, questo vende; quella parte più profonda (l’anima) non può essere venduta. Qualsiasi cosa provenga da esse, è libera; né infatti noi possiamo ordinare ogni cosa, né gli schiavi sono costretti ad obbedire in tutto e per tutto: contro lo Stato non eseguono gli ordini, non parteciperanno ad alcun crimine.
Vi sono cose che le leggi non ordinano e non vietano di fare: è in queste che lo schiavo ha l’occasione di beneficare; fintanto che viene fatto ciò che si è soliti esigere da uno schiavo, si tratta di servizio; ma quando è di più do quanto non sia necessario per uno schiavo, allora è un beneficio: nel momento in cui passa a un sentimento di amicizia, cessa di essere chiamato servizio. Vi sono cose che il padrone deve dare al proprio schiavo, come il cibo, le vesti; nessuno chiama ciò un beneficio: ma gli ha mostrato benevolenza, lo ha educato in modo piuttosto liberale, gli ha insegnato le arti che si insegnano ai liberi: ecco il beneficio.
Lo stesso succede, viceversa, per la persona dello schiavo. Qualsiasi cosa abbia superato i limiti del dovere di uno schiavo, ciò che è dato non dietro un comando, ma per spontanea volontà, solo se è tale da essere chiamato in questo modo, chiunque sia chi lo dà.
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