Il tempietto della dea Viriplaca (Versione latino Valerio Massimo)
Il tempietto della dea Viriplaca
Autore: Valerio Massimo Littera Litterae 2C pag. 342 N° 6
Vini usus olim Romanis feminis ignotus fuit, ne scilicet in aliquod dedecus prolaberentur, quia proximus a Libero patre intemperantiae gradus ad inconcessam uenerem esse consueuit....
L'uso del vino era, un tempo, ignoto alle donne romane, naturalmente ad evitare che si lasciassero andare a qualche gesto indecoroso, perché il grado successivo dell'intemperanza che si deve al padre Libero si risolve generalmente nell'amore illecito.
Del resto, perché la loro pudicizia non fosse uggiosa e repellente, ma si accompagnasse ad un moderato fascino femminile - col permesso dei loro mariti usavano gioielli d'oro e porpora a profusione -, per rendere più grazioso il loro aspetto si tingevano accuratamente i capelli di rosso: infatti allora non si temevano gli sguardi dei seduttori delle mogli altrui, ma c'era reciproco rispetto e pudore tra gli uomini nel guardare le donne e tra le donne nell'essere guardate.
Tutte le volte, poi, che ci fosse un litigio tra marito e moglie, ambedue si recavano nel tempietto della dea Viriplaca, sito sul Palatino e, dopo aver ivi esposto quanto volevano, mettevano da parte ogni ostilità e se ne tornavano a casa d'amore e d'accordo.
Si dice che questa dea, indubbiamente veneranda e non so se degna di particolari e scelti sacrifici quale custode della pace quotidiana e domestica, abbia preso nome da tale sua funzione: certo essendo che col suo stesso appellativo essa rende all'autorità dei mariti, nello spirito di un reciproco affetto, l'onore dovuto dalle mogli
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