Rispetto dei Romani per il giuramento - Valerio Massimo
Rispetto dei Romani per il giuramento
Valerio Massimo Cotidie Legere pag. 248 N° 9
M. Pomponius L. Manlium apud populum violatae legis et nimiae severitatis accusabat....
M. Pomponio accusava L. Manlio d’aver violato la legge e di eccessiva severità, giacché Manlio, contravvenendo alle leggi, aveva aggiunto un certo numero di giorni alla propria dittatura ed aveva segregato il figlio Tito dagli altri uomini.
e (lo) aveva costrettoa vivere in campagna. Della qual cosa Tito si rincresceva moltissimo. Ciononostante, quando Tito venne a sapere che il padre aveva delle noie da Pomponio fece ritorno a Roma di nascosto e, giunto sul far del giorno a casa sua, impugnata la spada sopra il capo di lui lo costrinse a giurare che avrebbe desistito dall’accusa di Manlio.
A Pomponio, ch’era tribuno della plebe, interessava moltissimo accusare Manlio, sostenitore dei patrizi, eppure, benché avesse giurato costretto con la forza e atterrito dalla spada, rinunciò all’accusa e mantenne la parola data. Tanto grande era ritenuto il valore del giuramento, presso gli antichi, che la lealtà veniva anteposta a qualsivoglia vantaggio. Si riteneva, in effetti, che fosse di sommo interesse per lo Stato che i cittadini fossero non solo valorosi, ma anche onesti e leali, e disposti a subire ogni cosa piuttosto che venir meno alla parola data. A diritto, dunque, presso di loro furono tenuti sempre in gran conto quei cittadini che mantennero, con scrupolo d’onore, la parola data;
di contro, furono puniti con l’ignominia, con la perdita dei diritti civili, con l’esilio o con le catene coloro che avevano considerato di nessun conto un giuramento e violato.
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