Il Sentimento del dolore nelle declamazioni
Quo fugerit interim dolor ille? Ubi lacrimae substiterint? Unde se in medium tam secura obseruatio artium miserit?...
In qual modo svanirà frattanto quel dolore? Dove si saranno fermate le (sue) lacrime? Da dove se porrà nel mezzo la tanto sicura osservanza delle arti? Non dall’esordio fino all’ultima parola si manterrà un continuo lamento e un medesimo volto di tristezza, se qualcuno preferirà il proprio dolore anche un lamento ed un medesimo volto di tristezza si manterrà, se qualcuno vorrà comunicare il proprio dolore anche in quelli che ascoltano? E se lo concederà in qualcosa, non condurrà indietro nell’animo di quelli che giudicano.
A ciò principalmente bisogna badare per quelli che declamano (infatti non mi dispiace di pensare anche a questa mia occupazione e alla cura degli adolescenti che un tempo ho accolto ed allevato) che più fingono i sentimenti nella scuola, e sopportiamo quelli non come avvocati ma come chi ha sofferto: come anche di fingere questo genere di cause, quando alcuni chiedono il diritto di morte al senato o per qualche grave disgrazia o anche per pentimento; in quelle conviene ai sentimenti non solo declamare (col tono del canto), e questo vizio si diffuse, o sbizzarrirsi, ma neanche addurre prove senza sentimenti mescolati e neppure in modo che maggiormente risaltino nella stessa dimostrazione.
Infatti chi può sospendere il dolore nel trattare la causa, pare possa anche lasciar andare
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