Demostene si difende da un'accusa iniqua
prakteon pagina 312 numero 299
Μη δη τουθ'ως αδικημ' εμον θης, ει κρατησαι συνεβη Φιλιππω τη μαχη· εν γαρ τω θεω το τουτου τελος ην, ουκ εμοι .... Αλλ'ουτ'εκυβερνων την ναυν φησειεν αν (ωσπερ ουδ'εστρατηγουν εγω) ουτε της τυχης κυριος ην, αλλ'εκεινη των παντων.
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Non imputare questo a mia colpa, se è successo a Filippo di vincere nella battaglia: infatti, il risultato di questo dipendeva dal Dio, non da me. Dimostrami invece che non ho fatto tutte le scelte possibili secondo le capacità umane di calcolo e che non le ho attuate con rettitudine, con zelo e con la disponibilità ad affrontare ogni fatica al di sopra delle mie forze, e che non ho intrapreso azioni nobili, degne della città e necessarie, dimostramelo, e solo dopo rivolgimi le tue accuse.
Se l'uragano che è capitato è risultato essere più forte non solo di noi, ma anche di tutti i restanti Greci, cosa bisogna fare? Come se un armatore, che ha fatto tutto il possibile per la salvezza e ha fornito l'imbarcazione di quanto, supponeva, l'avrebbe salvata, poi si fosse imbattuto in una tempesta, in cui gli strumenti gli fossero andati in avaria o anche completamente distrutti, venisse accusato del naufragio.
«Ma non ero io il timoniere della nave» potrebbe dire (come nemmeno io ero stratego) «né ero padrone della sorte, ma è lei ad esserlo di tutto».