La singolare vicenda del satiro Marsia
Inizio: Minerva tibias dicitur prima ex osse cervino fecisse Fine: reliquum corpus discipulo Olympo sepulturae tradidit, e cuius sanguine flumen Marsya est appellatum.
Dal libro Callidae voces
Minerva, dopo aver ricavato un flauto da un osso di cervo, si recò al banchetto degli dei per dilettarli col proprio canto.
Ma ogni volta che gonfiava le gote per soffiare nel flauto, Giunone e Venere si prendevano gioco di lei poiché le fattezze del suo viso apparivano deformate. Ragion per cui, fuggita presso una fonte nella selva del monte Ida per sottrarsi alla vista delle dee che si prendevano gioco di lei, dopo che notò nello specchio d'acqua le proprie gote rigonfie per lo sforzo, buttò via il flauto per sfuggire più facilmente alla tentazione di cantare.
Marsia, uno dei Satiri, figlio di Eagro raccolse il flauto, una volta trovato, per esercitarsi nel canto. Così facendo, riusciva a modulare, di giorno in giorno, un suono sempre più dolce. Divenuto particolarmente bravo, osò sfidare lo stesso Apollo in una gara di canto. Apollo accettò e invitò le Muse a far da giudici della competizione. Il dio emanò dalla cetra una dolcissima melodia e, divenuto vincitore, per impedire che la superbia e l'arroganza dell'avversario crescessero, lo legò ad un albero e mandò a chiamare un tale della Scizia perché lo scuoiasse.
Il sangue cupo, che uscì a fiotti dal corpo del malcapitato, andò a formare un corso d'acqua, che gli abitanti di quella zona, a perenne ricordo dell'avvenimento, chiamarono "Marsia".
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